Nel cuore della Toscana, Volterra ha veduto nascere con la Civiltà Etrusca la lavorazione dell’alabastro divenendone il tradizionale ed esclusivo centro di manifattura. L’industria dell’alabastro è una tipica manifestazione del gusto artistico dell’artigianato italiano e della tradizione che nel tempo si rinnova.
L’alabastro, sensibile e fragile, ha bisogno soprattutto della mano dell’uomo per prendere vita. Nei laboratori resi bianchi dalla sottile ed innocua polvere dell’alabastro, ogni giorno si inventano forme tra arte e artigianato. Il fascino di questi oggetti in pietra viene dalla loro irriproducibilità, dal fatto che nascono dalla mano di qualcuno che vi ha lasciato un segno e una memoria con il proprio lavoro, che è anche espressione della cultura di Volterra.
L’alabastro è una materia che lascia intorno a sé piccole tracce di magia. E’ magico nella sua continua e imprevedibile mutevolezza, nella fragilità che lo espone come il vetro a infrangersi agli urti, nell’abbandono indolente con cui, sia pure lentissimamente, si fa penetrare dall’acqua, nella sua apparenza di vetro, di pietra, di sale, di gioiello; e più ancora nella sua capacita di nascere, crescere e invecchiare nel tempo come una cosa viva. E’ difficile individuare la soglia esatta in cui termina il materiale e comincia il suo riflesso. E’ impossibile capire fin dove affondi la luce nella sua soffice trasparenza. Muta a seconda delle posizioni in cui è collocato, secondo il punto di vista. Muta nel tempo: le trasparenze fredde dello Scaglione o la luminosità dorata dell’Agata si rivestono negli anni di una densità più calda e corposa, concentrata capricciosamente nelle pieghe del materiale.
L’alabastro è una pietra compatta e nel contempo fragile, “difficile da trovare” e detta leggi precise, impone una familiarità che solo gli artigiani Volterrani possiedono. L’invenzione delle forme non può avvenire che a contatto diretto con la materia, come del resto dovrebbe sempre accadere per ogni lavorazione artigianale che sia veramente tale e dove il momento ideativo e quello realizzativo coincidono.
L´alabastro si trova in blocchi o “arnioni” di forma spesso ovoidale, detti per questo ovuli, di peso e volume molto diversi, distribuiti irregolarmente in strati di roccia gessosa, detta “Panchino” o “Mamma”, dove sono inclusi. I banchi di pietra si trovano a profondità variabili da 2 fino a 300 metri e, a seconda delle differenti composizioni chimiche del terreno, il materiale che si trova presenta un aspetto e una colorazione molto differenziata. E´ sicuramente questa una delle ragioni principali per cui è difficile avere un´idea immediata di cosa sia in realtà l´alabastro. I blocchi, oltre a non essere uniformi, si presentano differenti tra loro (anche se provenienti dalla stessa cava) per la distribuzione e la tonalità delle venature e per la maggiore o minore trasparenza.
L´alabastro pesa, in genere, tra 2200 e 3000 Kg al metro cubo, a seconda dell´umidita ancora contenuta nella roccia (ha quindi un peso specifico doppio o triplo di quello dell´acqua e mediamente simile a quello del marmo). Il peso comune dei blocchi commerciabili oscilla dai 100 ai 150 kg. Secondo la scala di Mohs, l´alabastro ha durezza 2,5 (il talco ha durezza 1 e il diamante 10), al microscopio si manifesta in cristalli prismatici allungati o in masse granulari o fibrose. Per calcolare il peso specifico del prodotto finito si ricorre a 2,3 come coefficiente.
Le zone interessanti per l´estrazione vengono valutate con carotaggi e calcoli di profondità, secondo i quali vengono poi progettate le inclinazioni di escavazione e di galleria. Uno dei rischi più gravi è quello d´incontrare falde acquifere che vanno imbrigliate e fatte defluire; quando questo non e possibile le cave vengono abbandonate. I cunicoli e le gallerie delle cave, profondi fino a 280 metri, si intrecciano fittissimi per decine di chilometri in tutta la zona. In entrambi i tipi di cava, a “cielo aperto” e sotterranea, l´estrazione dell´ovulo è sempre manuale, con il martello pneumatico o col piccone; il pezzo viene circoscritto e liberato dal materiale in cui e incluso, poi viene ripulito ulteriormente con la piccozza.
L’origine della parola alabastro è dibattuta: nella lingua greca, come in quella latina, alabastro è sinonimo di vaso e resta da stabilire se sia il materiale ad aver dato denominazione all’oggetto o viceversa. La provenienza del nome è certamente Egizia, come all’Egitto risalgono i vasi più antichi dei quali si abbia conoscenza. Pare, anzi, che vi esistesse una città chiamata Alàbastron, celebre per la fabbricazione di vasetti ed anfore destinate a conservare i profumi: se questo è certo, non è da escludere che sia il nome della città che ha originato la denominazione del recipiente e del materiale.
Con il nome di Alabastro vengono generalmente indicate due varietà di pietra appartenenti a due distinte classi mineralogiche: una è costituita da solfato di calcio idrato (CaSO4 2h2O), l’altra da carbonato di calcio (CaCO3) poliforme che, secondo le sue fasi cristalline, può presentarsi sotto forma di calcite o di aragonite.
La prima classe costituisce l’Alabastro del volterrano o Alabastro gessoso, l’altra l’Alabastro calcareo (conosciuto anche sotto il nome di alabastro orientale).
In Italia questa varietà si rinviene quasi esclusivamente nel territorio volterrano. L’alabastro di Volterra è considerato il più pregiato d’Europa per le sue caratteristiche di compattezza, trasparenza, venatura, durezza e vellutazione.
Secondo le ipotesi più attendibili, l’alabastro si sarebbe formato in terreni miocenici (il periodo miocenico si fa risalire da 26 a 7 milioni di anni fa, periodo durante il quale si è formata l’ossatura della penisola italiana e in particolare il rilievo appenninico) in seguito ad un processo chimico di solfatazione delle rocce calcaree, dovuto all’emanazione di idrogeno solforato. L’ipotesi è suffragata dal fatto che nei dintorni di Volterra le sorgenti che accompagnano i soffioni danno luogo al formarsi di un gesso saccaroide paragonabile all’alabastro.
Le varietà di alabastro sono praticamente infinite, poiché l’aspetto e la consistenza del materiale variano continuamente col variare della composizione chimica del terreno. Le varietà meno ricche di inclusioni sono bianche, più o meno trasparenti come l’alabastro “Traslucido”.
Nei tipi di vario colore al solfato di calcio si uniscono materie eterogenee, principalmente argilla ed ossidi metallici. Il colore dominante è il grigio, dovuto ad inclusioni di argilla; seguono il giallo, il rossastro ed altri dovuti ad ossidi e idrossidi metallici, in special modo ferro.
Diverse classificazioni sono state fatte degli alabastri gessosi, arrivando perfino a citarne 52 diverse varietà.
Pietre poco traslucide, con colorazioni che vanno dal grigio chiaro al nero: le venature sono dovute all´argilla, le più marcate ad ossidi di ferro. Difficilmente descrivibile perché si presenta con diversissime tonalità, venature, colorazioni; può presentarsi marmorizzato: si usa per questo chiamarlo anche “Pietra a marmo”, utilizzando la denominazione “Bardiglio” per le tipologie dove e maggiore l´intensità di variegatura e colorazione. Il peso dei blocchi varia dai 15 fino ai 25/30 quintali.
E´ un alabastro intensamente marmorizzato, di toni scurissimi tra il marrone, il nero e il rossastro.
Il peso dei blocchi varia dai 20/30 Kg fino ai 4/5 quintali. Questo materiale non è al momento reperibile.
E´ una pietra grigia, di colore simile all´argilla, di impasto e colorazione più o meno variegati e decisamente opachi. Il cenerino di colore e consistenza più omogenea, che è anche il più raro, assomiglia ad un´ardesia chiara. Si trova in lastre il cui peso raggiunge al massimo i 150 Kg.
Variano la loro tonalita dal color ambra chiaro al marrone scuro.
Possono essere piu o meno trhtmlarenti. Il peso dei blocchi varia dai 20 Kg ai 4 quintali.
Molto raro e pregiato. E´ di colore marrone chiaro con macchie e venature che variano dal nero al rosso ruggine.
Include numerosissimi piccoli fossili. Il peso dei blocchi varia da 40 a 600 kg.
Originato da deposito di acque calcarifere, e di durezza compresa tra 3 e 4 della scala di Mohs. L’alabastro calcareo fu largamente sfruttato nell’antichità: l’arte egizia lo usò non solo per farne vasi destinati ai profumi, ma addirittura in opere architettoniche, in rivestimenti di palazzi e templi, in colonne e fregi. In Grecia fu usato per la scultura.
L’alabastro calcareo o orientale giunse a Roma, proveniente dal Medio Oriente, quando già l’arte etrusca impiegava quello gessoso di Volterra e trovò applicazione per rivestimenti, colonne ed in scultura per la riproduzione di animali.
Nel territorio volterrano abbiamo un filone di alabastro calcareo lavorato da alcune aziende presso la localita di Jano.
Da secoli gli artigiani dell´alabastro sono specializzati a seconda delle diverse lavorazioni e quindi della forma finale del pezzo che devono creare. Ci sono oggetti che richiedono l´intervento di due o tre differenti tipi di lavorazione e che passano quindi da diverse botteghe artigiane prima di essere messi sul mercato.
Da secoli gli artigiani dell´alabastro sono specializzati a seconda delle diverse lavorazioni e quindi della forma finale del pezzo che devono creare.
Ci sono oggetti che richiedono l´intervento di due o tre differenti tipi di lavorazione e che passano quindi da diverse botteghe artigiane prima di essere messi sul mercato.
Gli SQUADRATORI sono gli artigiani che fanno i “pezzi quadri”, cioè tutto quello che in linea di massima è racchiuso in un parallelepipedo o in forme ortogonali. Utilizzano inizialmente “seghe a strascico” (che lavorano in senso orizzontale) per tagliare i blocchi in lastre delle dimensioni desiderate. Sulle lastre vengono riportate con le “seste” (specie di compassi di misurazione) le sagome dell´altezza, che verranno poi tagliate con seghe verticali, simili a quelle dei falegnami. I controlli di squadratura e le rifilature sono poi effettuati con seghe a disco o con taglierini di precisione e con i dischi abrasivi.
Una branca molto interessante della squadratura è il mosaico che viene spesso effettuato usando diversi tipi di alabastro nel loro colore naturale.
I TORNITORI realizzano i “pezzi tondi”, cioe tutti gli oggetti circolari o sferici che vanno lavorati al tornio. Utilizzano inizialmente le seghe per preparare il cilindro del materiale da lavorare, poi con uno speciale mastice, che preparano personalmente, incollano il pezzo all´asse del tornio e iniziano la lavorazione vera e propria scavando nel materiale con i “rampini” e misurando gli spessori con le “tente”. Quando la forma è ottenuta, il pezzo ancora attaccato al tornio subisce la prima ripulitura (dipesciatura) con carte e retine, poi viene staccato con un ferro speciale. Questa è un´operazione delicata, perché pezzi particolarmente sottili e fragili rischiano di rompersi proprio al momento in cui vengono staccati dal tornio. I torni consentono, salvo casi speciali, la lavorazione di pezzi il cui diametro non supera i cm 50-60, anche se è possibile tornire pezzi di cm 90-100 .
Gli ORNATISTI sono gli artigiani specializzati nell´ornato, nella incisione a bassorilievo o altorilievo dell´oggetto. Dopo aver riportato sulla pietra il disegno e i punti di riferimento necessari, lavorano l´alabastro con le “scuffine” ed i “ferri”, arnesi di infinite forme e dimensioni, adatti di volta in volta ad effettuare incisioni, scannellature, effetti particolari.
Gli SCULTORI lavorano sulla base di disegni (che spesso creano personalmente o liberamente reinterpretano), ma anche all´impronta secondo le caratteristiche del blocco di pietra, oppure su modelli tridimensionali in gesso. In questo caso riportano con le seste le misure e i punti di riferimento sul blocco di materiale in lavorazione e intervengono poi con scalpelli, raspe, ferri e scuffine.
Gli scultori animalisti sono quelli specializzati nella riproduzione di animali. I metodi di lavorazione sono identici a quelli degli scultori di figure umane
Il tema della rifinitura e della lucidatura è probabilmente uno dei più interessanti e dei più sottovalutati dai profani. Solo dopo quest´ultimo intervento l´alabastro mostra completamente le sue caratteristiche estetiche (il gioco di tasparenze, di colore, le venature) e si offre al tatto con la sua straordinaria vellutazione.
Nella lavorazione tradizionale, completamente manuale, il pezzo dipesciato – il termine deriva dal fatto che per questa operazione di levigatura un tempo si usava la pelle di pescecane essiccata – veniva ulteriormente levigato utilizzando come materiale abrasivo le sprelle, cioè delle felci sottili ricche di impurità calcaree raccolte nei terreni umidi. La sprellatura, essenzialmente un compito affidato alle donne, consisteva nello strofinare delicatamente il pezzo con le sprelle bagnate, fino a togliere le ultime imperfezioni sfuggite alla dipesciatura. L´oggetto veniva poi accuratamente lavato e si passava alla lucidatura vera e propria, la cui prima fase consisteva nel massaggiare la superficie per mezzo di stracci avvolti intorno alle dita con una pasta composta da ossa spugnose di bue bruciate nel camino, triturate finemente e impastate con sapone giallo di seta. La seconda fase consisteva in un trattamento con polvere di zolfo strofinata con panni morbidi, bagnati in acqua. Il pezzo, perfettamente levigato e lucidato, doveva poi essere “rianimato” per restituirgli la morbidezza persa durante la lavorazione. Esso veniva lentamente scaldato in un mobile speciale, detto “madia”, sotto il quale veniva posta della brace coperta di cenere. Ottenuta la giusta temperatura, l´alabastro veniva cosi spalmato con lo sparmaceto, una sostanza grassa composta da olio di vaselina, un grasso animale, cera vergine bianca e pece greca. Era fondamentale anche la dosatura dei vari ingredienti per l´ottima riuscita dell´operazione. La “sparmacetatura” veniva effettuata più volte, sempre scaldando il pezzo, finché brillantezza e morbidezza non raggiungevano la perfezione: alla fine il pezzo veniva lustrato con panni di cotone. Nella lucidatura effettuata attualmente, ma secondo gli schemi tradizionali, la “dipesciatura” viene fatta manualmente con carte a vetro e la “sprellatura” con carte sottilissime ad acqua. La lucidatura è ottenuta trattando il pezzo su una spazzola rotante, alla quale viene applicata una pasta di polvere di conchiglie e crostacei detta triplo. L´operazione è delicata perché l´alabastro non deve mai surriscaldarsi a rischio d´ingessire (cioè di cuocere e di perdere trasparenza). Infine si passa il pezzo su un´altra spazzola molto morbida, utilizzando pani di “lustro”, una polvere abrasiva finissima d´aspetto simile al gesso.
Un´interessante caratteristica dell´alabastro è la capacità di poter essere colorato. La “colorazione”, usata da secoli e facile a causa della porosità del materiale, è effettuata per immersione ed è in grado di conferire agli alabastri chiari le più incredibili gamme e tonalità di colore.
L´alabastro fu usato su vasta scala dagli Etruschi per la produzione di urne cinerarie già nell´VIII e VII secolo a.C. Fu così che Volterra divenne il centro di produzione di questo materiale. La pietra volterrana si prestava più del tufo e della terracotta ad una lavorazione ricca di particolari e di movimenti e quindi permise, nei bassorilievi delle urne stesse, una maggiore ricchezza di decorazione.
Urne di alabastro di provenienza volterrana si ammirano nel Museo Vaticano, nel Museo del Louvre di Parigi, nel British Museum di Londra. Mentre il coperchio dell´urna – eccettuate le poche a fastigio o a tetto – riproduce la figura giacente del defunto, l´urna propriamente detta, di forma rettangolare, mostra scolpiti sul fronte episodi reali o immaginari dell´arte etrusca.
E´ da notare come l´alabastro fosse impiegato nell´esecuzione di lavori che richiedevano una tecnica perfetta e figurazioni ricche di movimento. Di queste urne esisteva un´arte “industrializzata” e, mentre solo alcune venivano eseguite su commissione, le altre erano realizzate ed esposte in attesa di vendita. All´ultimo momento venivano ritratte le sembianze del defunto in grandezza sproporzionata al resto del corpo. Furono certamente degli artisti greci o grecizzati quelli che, con magnifica arte, iniziarono la decorazione delle urne di alabastro che fino ad allora si limitava a soggetti semplici o floreali.
In un secondo momento, quando gli Etruschi, raggiunto un elevato senso artistico, poterono liberarsi dell´influsso dei Greci, interpretarono secondo le loro convinzioni il mistero della morte ed i fatti rappresentati nei bassorilievi delle urne aderirono alle tradizioni etrusche.
Le cave in cui rimane maggior traccia delle antiche escavazioni degli Etruschi sono quelle di Ulignano e Gesseri. Si può ricostruire anche il sistema di lavoro di questi antichi scavatori, i quali si servivano, per scalzare il blocco, della subbia anziché del piccone. Lo sfruttamento delle cave non veniva fatto a fondo: dopo pochi metri dalla bocca di cava l´escavazione era abbandonata. Gli Etruschi preferivano per i loro lavori gli alabastri poco venati, di tonalità calda, tendenti all´avorio. Per dare maggiore risalto ai loro lavori si servivano talvolta di leggere decorazioni per le quali usavano colori minerali a pittura superficiale, mentre per la doratura applicavano sottili foglie d´oro.
Dopo l´epoca etrusca ed etrusco-romana corrono lunghi secoli prima di veder rifiorire la produzione degli alabastri. Nonostante la manifattura non fosse del tutto abbandonata, non sono molte le testimonianze che attestano la produzione in alabastro durante tutto il Medioevo. Questo anche perché i tristi tempi delle invasioni barbariche e dell´imbarbarimento feudale sono probabilmente poco propizi ad ogni forma di manifestazione artistica locale, fatta eccezione per alcuni manufatti di arte sacra.
E´ alla metà del cinquecento, nel pieno splendore delle arti italiane, che la lavorazione dell´alabastro afferma la sua rinascita. Importanti lavori e applicazioni, soprattutto a carattere religioso, sono ricondotte al secolo sedicesimo: tabernacoli, cibori, reliquiari, organi d´altare (famoso quello donato al Marchese di Mantova), vasi e candelieri erano le opere maggiormente realizzate in questo periodo al quale viene anche fatta risalire l´applicazione del tornio nella lavorazione della pietra. L´utilizzo dell´alabastro, dalla rinascita ai primi del Seicento, è considerato non come una forma di sfruttamento intensivo, ma come esclusiva rappresentazione artistica.
La fine del Cinquecento segna l´inizio della trasformazione dell´arte italiana e di riflesso anche la lavorazione degli alabastri si allontana dalle forme rinascimentali. Abbandonato il senso puramente artistico, la manifattura si orienta verso uno sfruttamento mercantile realizzando una produzione più minuta e di facile esecuzione. La facilità di lavorazione e la possibilità di sfruttamento per molte tipologie di oggetti fanno la fortuna della pietra. Dalla metà del Seicento agli ultimi del Settecento la lavorazione non subisce nuovi orientamenti. In questo periodo la produzione si concentrava soprattutto su oggetti semplici che potevano essere prodotti facilmente anche da maestranze poco qualificate. Sopravvivevano però degli ottimi scultori.
Ai primi dell´ottocento nasce la prima officina dimensionata e strutturata come vera fabbrica, l´Officina Inghirami con 120 lavoranti. La strategia era molto ambiziosa: sviluppare la tecnologia rendendo il lavoro totalmente innovativo rimanendo sotto la guida illuminata dei grandi maestri dell´ornato, della scultura e della decorazione chiamati a Volterra da tutta Italia.
Si iniziano a riprodurre i classici vasi greci, romani e etruschi, le sagome dei bronzi, sculture in stile greco ed egizio, decorazioni e fregi, candelieri e oggetti vari. Acquista particolare importanza anche la riproduzione di piccoli particolari architettonici – capitelli, colonne, obelischi, piramidi, urne – tutti realizzati con il gusto per l´antico imperante nell´epoca, in stile neoclassico e successivamente in stile Impero. Alla metà dell´Ottocento vengono documentate ben 14 fabbriche importanti e molte botteghe con un numero imprecisato di lavoratori. Questa rinnovata importanza è dovuta soprattutto al fenomeno dei “viaggiatori” che in quegli anni, con fare del tutto sperimentale, frequentavano non solo le corti e i palazzi d´Europa, ma anche i mercanti americani ed orientali riuscendo a vendere importanti partite di oggetti in alabastro. Questa nuova opulenza incide direttamente sulle possibilità di sperimentazione.
Nella seconda meta dell´Ottocento avvengono stretti contatti fra il laboratorio Viti di Volterra e l´Opificio delle Pietre Dure di Firenze che insieme sviluppano nuovi metodi di lavorazione abbinando l´alabastro con altri materiali in pezzi d´arredamento. Vennero realizzati mosaici, telai in bronzo e ottone con lastre intarsiate in alabastro e i primi pezzi “unici” che oggi sono l´orgoglio delle collezioni private cittadine. Contemporaneamente si diffonde un filone regionale di cui Volterra con i suoi alabastri diventera uno dei maggiori portavoce: si tratta di una versione manierista del Neo Rinascimentale che interessa la lavorazione del legno e per analogia quella dell´alabastro. Vengono realizzati mobili intarsiati, soprammobili, decorazioni ad altorilievo e “animali”, delfini, cigni, zampe di leone. E´ proprio a questo tipo di produzione che Volterra deve il suo massimo splendore economico ed artistico. Nello stesso periodo si trovano poi esperienze più “intellettuali” come l´episodio dei Cammei dello scultore Funaioli.
Negli ultimi decenni del secolo anche il fenomeno dei “viaggiatori” e le loro commesse subiscono una battuta d´arresto per ragioni svariate: l´Italia diventata da poco una nazione unita ed ha problemi inerenti, l´Europa sta cambiando politicamente e commercialmente; i nuovi fautori dell´arte richiedono materiali più “sociali” e il mondo artistico ritiene l´alabastro una pietra ormai svilita perché utilizzata troppe volte per riprodurre opere eseguite in altri materiali.
Ai primi del Novecento, proprio quando viene diagnosticata la morte dell´alabastro, si ha una lenta ripresa del settore. Le grandi esposizioni di Parigi del 1900, St. Louis del 1904 e Torino del 1908 e 1911 vedono la presenza dei migliori laboratori volterrani. In questi anni si viene a riorganizzare la Regia Scuola d´Arte con l´obiettivo di trasformarla in una vera scuola d´arte applicata all´industria.
Si afferma in questo periodo una nuova tipologia strettamente legata alle possibilità della scultura e ispirata all´espressionismo manierato e retorico del periodo: busti di madri con bambino, statuette di bimbi, pastorelle, visi di donna. Capolavori di tecnica scultorea, ma che si prestano purtroppo a diventare un genere sterile ripetuto all´infinito. La nuova produzione viene lo stesso accolta sul mercato.
Sempre negli anni venti si registra un importante episodio a carattere semindustriale per quanto riguarda la vendita di plafoniere per lampade elettriche. E´ all´interno di questa eterogenea produzione che si riscopre il valore dell´alabastro come materia “decadente” adatta all´Art Deco allora imperante. Nel 1925 durante l´Esposizione delle Arti Decorative e Moderne di Parigi una pubblicazione presenta le possibilità dell´alabastro rispetto agli impianti d´illuminazione e sottolinea la sua idoneità ad essere “stile 1925”.
Nel ventennio successivo emerge la figura di Umberto Borgna. Egli fu il primo vero designer dell´alabastro e finalmente si riesce a lasciarsi alle spalle le imitazioni pedisseque per una produzione studiata. Borgna rilancia come qualità le diverse caratteristiche della pietra, le sue venature sempre differenti, le tonalità, studia i possibili abbinamenti fra i vari colori e con altri materiali. Sperimenta nuovi metodi di colorazione e riporta in vita la lucidatura tradizionale e lavora sulle tipologie di oggetti da commercializzare.
Nascono così i prototipi di vasi, coppe, scatole e lampade, orologi e reggilibri che fanno parlare la critica dell´avvenuta riconversione dell´alabastro al gusto moderno.
Attualmente numerosi designer si sono fatti eredi e interpreti della sua filosofia produttiva tendente a riconnettere questa arte decorativa con le realtà spirituali e materiali della contemporaneità, tra i quali Ugo la Pietra, Denis Santachiara, Carla Venosta, Angelo Cortesi, Gianni Veneziano, Angelo Mangiarotti, Luca Scacchetti, Cristiano Toraldo di Francia e molti altri giovani.
Ancora adesso si promuove l’incontro tra la cultura del progetto e la cultura del fare e si realizzano opere uniche ma anche articoli di largo consumo rinnovando tutte le risorse della nostra tradizione attraverso progetti contemporanei in grado di utilizzare anche le più attuali possibilità tecnologiche senza stravolgere i valori materiali e tecnici che si sono conservati fino ad oggi.
La capacità che ha l’alabastro di evocazione di valori archetipici risiede nella sua attitudine materica – esaltata nelle trasparenze, nei colori delle sue venature, nella sericità delle sue superfici – e negli echi di epoche molto antiche in cui ha sempre giocato un ruolo da protagonista in varie forme di espressione artistica.
Questo attrae artisti designer, architetti e stilisti da tutte le parti del mondo. Quelli con cui attualmente abbiamo il privilegio di collaborare sono: architetto Biagio Forino; architetto Raffaella Fossati; architetto Francesco Costanzini; designer Joseph Ribic per Objeti Studio; designer Dino Raccanello; Targetti Sankey S.p.A., designer Palmalisa Zantedeschi; architetto Giacomo Colombo; architetto Daniele Furlan Simonetto S.r.l.; Antonio Linzarini AD Sicis S.r.l.; Giorgia Baccega EM metal lux; artista orafo Alessandro Dari; architetto Marianna Fiorin; designer Antonio de Marco; artista Michele Righetti; artista Antonaeta Dzoni.